Rischiare da testimoni |
![]() |
![]() |
![]() |
Lunedì 21 Aprile 2008 21:42 | ||||||
Domenica 13 aprile 2008, nel pomeriggio, il gruppo famiglie di Azione Cattolica si è incontrato nel salone dei claretiani per il terzo incontro di formazione indicato dal testo degli Adulti di Azione Cattolica.
La riflessione ... Incontro del gruppo famiglie 13 aprile 2008
Domenica 13 aprile 2008, nel pomeriggio, il gruppo famiglie di Azione Cattolica si è incontrato nel salone dei claretiani per il terzo incontro di formazione indicato dal testo degli Adulti di Azione Cattolica.
La riflessione aveva per titolo rischiare da testimoni. In continuità con le riflessioni dei precedenti incontri la considerazione iniziale è stata: se essere giusti significa amare come Dio ama, questo vuol dire che con la nostra azione diamo testimonianza di Dio stesso; vuol dire che siamo chiamati ad essere testimoni dell’amore di Dio. La recente celebrazione della Pasqua ci ha anche ricordato che Gesù ha rischiato la sua vita per testimoniare l’amore di Dio Padre. Spontanea dunque la domanda sottostante al terzo incontro: cosa rischiamo diventando testimoni?
Nel confronto con il Vangelo, aiutati dal parroco don Peppe, ci siamo soffermati sullo stile esigente dell’amore di Dio: dare la propria vita per gli altri, amare anche i propri nemici. Sono proprio queste eccedenze evangeliche che pongono a rischio il nostro essere cristiani e alla fine il nostro essere famiglie fondate sull’amore.
Ci siamo resi conto che la nostra testimonianza non ha carattere straordinario, nel senso che si realizza nelle concrete situazioni di vita familiare; è proprio in quelle situazioni che noi rischiamo la nostra identità di famiglia cristiana. Abbiamo anche fatto delle esemplificazioni.
Dare fiducia all’altro nelle relazioni familiari avviene nello scorrere continuo delle situazioni. Questo procedere mette a dura prova i legami tra i componenti della famiglia, li sottopone a un logorio continuo. In questo contesto continuare a dare fiducia è testimoniare. L’affettività, poi, non è solo una delle dimensioni essenziali dell’uomo; essa è anche un aspetto della relazione con il Divino incarnato: attraverso l’altro passa il segno della presenza e della vicinanza stessa del divino.
Nella vita familiare sperimentiamo continuamente che approfondiamo con gradualità i legami familiari. Nella vita di coppia dall’attrazione reciproca si passa alla cura dell’altro; nell’educazione dei figli si passa dalla cura all’accompagnamento nella crescita autonoma. È proprio a questo livello che si rischia la logica dell’amore, che da un livello di donazione minima o più facile passa ad un livello di donazione più esigente.
L’esperienza della prova, in forma più o meno grave o coinvolgente, prima o poi interseca l’esperienza della vita familiare. Nella comprensione di queste esperienze si rischia la logica della vocazione: alcune volte alla domanda “che cosa vuole il Signore da me in questa situazione?” – espressione di una logica vocazionale – noi preferiamo la domanda “perché proprio a me doveva capitare?” – tipica espressione di una logica della protesta e della commiserazione.
Trattandosi di un tema legato alla testimonianza abbiamo ritenuto opportuno il confronto con una testimonianza concreta. Abbiamo prima ascoltato e poi tempestato di domande Antonio Ciaccia, un diacono permanente di Monopoli, che, in accordo con sua moglie, hanno scelto di rischiare da testimoni aprendo la sua casa all’affido e alla adozione. La loro scelta è nata dalla riflessione su una domanda posta agli sposi nel rito matrimoniale: volete accogliere i figli che Dio vorrà donarvi?. Hanno interpretato la domanda non nel senso restrittivo di volete accogliere i figli che nasceranno da voi?, ma aprendo la loro casa sia ai figli nati nel loro matrimonio, sia ai figli che a parere dell’assistente sociale di Monopoli necessitavano di affidamento o di adozione.
L’ascolto della canzone di Gianni Morandi “Uno su mille” – ribattezzata Uno su mille ce la fa a farlo sapere ha concluso l’incontro e la riflessione.
|